Parlando genericamente di responsabilità professionale e, quindi, di una situazione di conflitto che si viene a creare tra il professionista da una parte e il paziente dall’altra, devo premettere che l’obiettivo primario, almeno secondo la mia filosofia professionale, è quello di impegnare la massima attenzione nella prevenzione del contenzioso al fine di trasformare un rapporto potenzialmente conflittuale in un rapporto sereno e cordiale con i p. che, non dimentichiamo, sono la nostra preziosa e indispensabile risorsa primaria.
Nel mio percorso professionale ho avuto la fortuna di interessarmi sia di medicina-legale che di odontoiatria clinica per cui, operando da ambo il lati di una ipotetica barricata che si erge tra i medici-legali e gli odontoiatri, posso ben comprendere le perplessità, le difficoltà e i pregiudizi dei “non addetti ai lavori”. In sostanza, tutte le problematiche medico-legali vengono vissute dagli operatori sanitari con una certa ansia e preoccupazione, ed in particolar modo le tematiche relative alla responsabilità professionale, laddove la figura del medico legale viene vista, al pari del legale, come quella di un nemico. Andando giustamente oltre questa ipotetica, nonché sterile, contrapposizione tra consulenti medico-legali e odontoiatri sarebbe molto più utile, a mio avviso, delineare un percorso, discutere e confrontarsi su come prevenire le problematiche medico-legali ovvero, a contenzioso iniziato, ridurre al minimo le conseguenze negative.
Un percorso che si può attuare solo mediante una sinergica integrazione tra esperienza medico-legale ed esperienza clinica, da realizzare attraverso il confronto di idee, la condivisione delle esperienze e la cosiddetta formazione trasversale, intesa come conoscenza di materie contigue a quelle di propria specifica conoscenza.
Il rapporto medico-paziente.
Questo primario rapporto, fondamento indispensabile di ogni atto medico, si è evoluto negli anni partendo dal modello paternalistico - il più classico ma ormai obsoleto - passando a quello informativo, interpretativo e infine deliberativo. Quest’ultimo si fonda su di un proficuo dialogo in cui si riflette con il paziente su un bilanciamento dei pro e dei contro e su ciò che può essere il meglio per lui in quella determinata situazione. Il modello deliberativo appare certamente il più moderno e anche il più gettonato ma, in verità, se risulta possibile e utile proporre schemi di comportamento è anche chiaro che bisogna prendere atto della varietà dei p. e della diversità di circostanze che impongono spesso il passaggio da un modello all’altro così da imporre all’operatore sanitario una condotta flessibile, che del resto è alla base di tutte le professioni libere intellettuali. L’unica certezza è rappresentata dalla assoluta necessità di un proficuo dialogo che altro non è se non la realizzazione/acquisizione del fatidico “consenso informato”, questo “molok” della moderna pratica professionale, foriero di infiniti ed attualissimi dibattiti in dottrina e in giurisprudenza.
Quale spunto di riflessione sul consenso e sulla ricerca ossessiva del “consenso perfetto” riporto semplicemente un interessante articolo apparso di recente sull’argomento: “...belli i congressi sul consenso: i magistrati parlano delle ultime sentenze della cassazione, i medici legali del nesso di causa, i giornalisti delle esigenze della stampa, gli avvocati della necessità di spegnere il contenzioso e così via... i materiali abbondano...ma manca una sintesi e soprattutto manca l’analisi dei protagonisti e cioè il paziente e il medico... l’aspetto umano nell’incontro tra paziente e medico, momento privilegiato e insostituibile, va sempre più nello sfondo...che il consenso sia un grosso problema non c’è dubbio e per affrontarlo ci vuole la buona volontà di medici e pazienti: il medico deve recuperare la centralità del paziente, a svantaggio di soldi e visibilità, e il paziente deve imparare a responsabilizzarsi...non è affatto vero che il paziente voglia sapere tutto, almeno in un elevato numero di casi; di solito chiede la rassicurazione preventiva che tutto andrà bene, il che è esattamente ciò che il medico non può fare (perché il rischio operatorio esiste eccome) e che non dovrebbe fare. Anche se per vanità, per eccessiva fiducia nei suoi mezzi, per paternalismo, molte volte lo fa. Incautamente. Tutto questo equivoco ha generato il problema consenso informato e, di conseguenza, la ricerca del consenso perfetto...personalmente preferisco il medico che dice “ci auguriamo entrambi che vada tutto bene” piuttosto che il perentorio “le garantisco che andrà tutto bene”.
In odontoiatria estetica
La posizione restrittiva della medicina e della odontoiatria estetica è stata col tempo erosa ed abbandonata: la salute, secondo le indicazioni del Organizzazione Mondiale della Sanità, è uno stato di “completo benessere fisco, mentale e sociale, e non consiste soltanto nell’assenza di malattie o infermità”. Anche il Codice deontologico, all’art. 3, comma secondo, chiarisce che la salute deve essere intesa nell’accezione più ampia del termine, come condizione di benessere fisico e psichico della persona. L’integrità psico-fisica dell’uomo è, dunque, quella che deriva da una dimensione totale dei valori della persona e che si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita, aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica. La salute, in questo senso intesa, è un bene non solo da preservare, custodire e reintegrare, ma, per certi versi, anche da promuovere e sviluppare come elemento fondante della personalità dell’uomo nelle relazioni sociali.
Timidamente, la Suprema Corte di Cassazione nell’ormai lontano 1994 ha riconosciuto al trattamento estetico una sua precisa dimensione e collocazione all’interno del coacervo dell’ars medica, affermando che “la funzione tipica dell’arte medica, individuata nella cura del paziente, al fine di vincere la malattia o, ovvero di ridurne gli effetti pregiudizievoli o, quanto meno, di lenire le sofferenze che produce, salvaguardando e tutelando la vita, non esclude la legittimità della chirurgia estetica, che a prescindere dalle turbe psicologiche che potrebbero derivare da una dilatata considerazione degli aspetti sgradevoli del proprio corpo, tende a migliorare esclusivamente l’estetica”. Il trattamento estetico, quindi, si propone di migliorare un aspetto fisico anatomicamente normale ma percepito dal soggetto come impedimento ad una completa realizzazione della propria persona; ed è proprio in questa ottica che si inserisce l’odontoiatria estetica, la quale fa del sorriso uno dei suoi cavalli di battaglia.
Ormai è opinione univocamente condivisa che un viso gradevole, un bel sorriso aiutano a convivere bene con se stessi e con gli altri, influenzando la qualità della nostra vita. È quindi più che giusto e ragionevole che i pazienti siano attenti alla bellezza del proprio sorriso e chiedano all’odontoiatra risultati validi sul piano dell’estetica come su quello della funzione.
Una frase di una ex indossatrice francese, tratta da una recente intervista su di un importante “magazine“, rende l’idea più di ogni altra considerazione: “meglio spendere dall’odontoiatra che da un gioielliere. Il sorriso è tutto. Non fare le cose per piacere agli altri ma per piacere a se stessi...quando si è felici ci si piace” (Ines de la Fressange). Detto da una donna...impossibile aggiungere altro.
La peculiarità della prestazione
Ritornando ai risvolti medico-legali della nostra attività è ormai acclarato che in campo odontoiatrico - ed in particolare ogni qualvolta viene effettuato un intervento ad alto contenuto estetico ovvero applicato un manufatto protesico per fini prevalentemente o esclusivamente estetici - l’obiettivo desiderato dal paziente è il risultato stesso ovvero il frutto della attività professionale. Proprio per la natura stessa di questi interventi, quindi, le informazioni al paziente sugli effetti collaterali, sui rischi, sui potenziali fallimenti e sulle alternative disponibili devono essere particolarmente approfondite e dettagliate giacché i miglioramenti estetici, proprio perché non necessari alla salute del paziente, devono essere decisi dopo una ancor più attenta analisi costi-benefici. Non ammette scuse la Corte di Cassazione, IV sezione penale, che con la sentenza del 1° agosto 2008, n. 32423 ha sottolineato, con una certa dose di severità, tale concetto, rilevando che in questi casi, il consenso informato “non può esaurirsi nella comunicazione di generiche informazioni ma deve investire – soprattutto nel caso di trattamenti che non sono diretti a contrastare una patologia, ma a finalità esclusivamente estetiche che si esauriscono in trattamenti non necessari se non superflui - gli eventuali effetti negativi del trattamento in modo che sia consentito al “paziente” di valutare congruamente il rapporto costi-benefici del trattamento e di mettere comunque in conto l’esistenza e la gravità delle conseguenze negative ipotizzabili ” In odontoiatria estetica si impone, quindi, una sorta di compensazione fra la ridotta o mancata necessità operatoria ed il contenuto del consenso.
Una delicata questione di equilibrio
Preso atto del fatto che la medicina non è una scienza esatta, tenuto conto delle variabili individuali e degli imprevisti che possono modificare il decorso dei trattamenti pur in presenza di condotta ineccepibile del sanitario, ogni caso deve essere affrontato con attenzione non essendo possibile definire delle regole valide sempre, come e comunque.
Gli odontoiatri, soprattutto per quegli interventi ad alto contenuto estetico, devono tener conto di tale verità e non “andarsi a cercare” una obbligazione di risultato ricadendo in una condotta superficiale quando non abnorme, giacché informata da un “appetito professionale” da condannare senza attenuanti.
Anche se può suonare anacronistico, ritengo che “l’integrità morale dell’operatore deve essere la migliore garanzia dei diritti del paziente” (Laforet); inoltre, rispetto alla posizione della giurisprudenza, spesso disomogenea e a volte decisamente contraddittoria, riprendo e condividido l’insegnamento del Fiori: “...sentenze e massime sono utili quale orientamenti generici, spunti di riflessione ma le regole di comportamento devono essere dettate dalla scienza medica non dal diritto giurisprudenziale...”
Certo, non è semplice; si tratta di trovare un difficile equilibrio tra l’esigenza di informare e quella di non creare ansie, tra quella di curare e quella di non fare danni...e la conquista di tale equilibrio passa non solo attraverso gli studi ma anche attraverso un percorso continuo di esperienza, autoanalisi e formazione: analizzare le proprie azioni e le capacità di individuare i modi per migliorarle, accettare la perfettibilità e coltivare una sana attitudine al continuo apprendimento ed all’autoconsapevolezza. Gli errori in campo odontoiatrico-sanitario, come in ogni altro comportamento umano, sono ineliminabili ma debbono essere prevenuti o ridotti al minimo attraverso lo studio continuo, l’impegno costante e la volontà degli operatori di evitarli insieme ai pazienti.
Spero che queste brevi riflessioni siano un utile spunto per contribuire a realizzare il confronto di idee e la condivisione delle esperienze, quella indispensabile integrazione tra pensiero giuridico, metodologia medico-legale e pratica clinica, allo stato attuale ancora insoddisfacente, probabile causa ovvero concausa di tante discutibili vicende giudiziarie.
Sono un epicureo e amo i punti interrogativi, perché mi spingono a cercare una risposta e ad andare oltre, anche se questo eterno vagare può talvolta essere vano...e mi piace chiudere con questa semplice frase dietro cui si cela, per noi odontoiatri, un “allegro” doppio senso:"Un giorno senza un sorriso è un giorno perso" (Charlie Chaplin)
Mario Aversa
Specialista in medicina-legale, Odontoiatra Libero professionista in Salerno www.odontolex.it
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