L’argomento può forse sembrare di secondo ordine, visto che il contenzioso è frequentemente originato da problemi di protesi o chirurgici, ma non deve essere sottovalutato. Infatti, se la qualità delle terapie conservative od endodontiche è scarsa o insoddisfacente, il risultato finale sarà falsato e potrà compromettere tutto il trattamento odontoiatrico.
La superficialità con la quale si affrontano questi temi ha troppo spesso dei seguiti in campo risarcitorio.
Alcuni anni fa sono nate polemiche circa la richiesta di un esplicito consenso informato per quanto concerne l’utilizzo dell’amalgama. Un tempo, infatti, era evitata per il colore scuro, in seguito sconsigliata per le reazioni che talvolta sono state osservate in alcuni pazienti.
Spesso non è l’estetica della ricostruzione a creare problemi con il pz, ma la scelta del materiale ed il modo in cui è realizzata.
Nel momento in cui è proposto il piano di cura ed il preventivo di spesa, è sempre bene chiarire tempi e modalità d’esecuzione. Con i nuovi compiti che stanno affiorando a causa dell’applicazione della legge sulla tutela della Privacy, ci troveremo sicuramente davanti un nuovo rapporto con il pz che diviene un soggetto più attivo anche nelle scelte terapeutiche.
Il mantenimento della vitalità o meno di un dente non è stato un problema fino a pochi anni orsono, ricordo che quasi tutti i bloccaggi prevedevano la devitalizzazione dei pilastri, e raramente si richiedeva l’autorizzazione al pz. Oggi le cose sono cambiate radicalmente e per ogni scelta è necessario un preciso consenso. Il contenzioso di regola sorge a distanza di tempo, quando casualmente il pz esegue una radiografia e scopre di aver ricevuto un tipo d’intervento del quale non era a conoscenza.
E’ evidente che nell’eseguire una terapia conservativa è fondamentale osservare le comuni regole igieniche e procedurali, l’uso della diga è consigliato, ma spesso difficile per problemi legati al pz o alla situazione della bocca.
Trascurare dolosamente di utilizzare un sottofondo isolante o peggio ancora ricoprire una polpa esposta senza ricorrere alla pulpectomia o ad una terapia endodontontica espone l’operatore a gravi conseguenze sia dal punti di vista etico che di responsabilità, riconoscendo l’imperizia come grave manchevolezza. In alcuni casi di grave compromissione della situazione parodontale o igienica del pz è indispensabile annotare sulla cartella clinica, nell’esame obiettivo, la situazione all’atto dell’ingresso del pz nello studio e verificare se nel prosieguo delle sedute siano rispettati e seguiti i suggerimenti e le indicazioni dell’igienista ed eventualmente rimarcare le mancanze. Dopo un fallimento o un cedimento di una ricostruzione è più agevole ricondurre l’avvenimento ad una cattivo comportamento del pz.
Per quanto concerne l’endodonzia, il discorso è notevolmente più complesso: da una parte la frenetica evoluzione delle tecniche ha rivalutato e migliorato i risultati, dall’altra sono cresciute le attese di successo.
Un tempo si cercava di salvare un elemento dentale, e si riferiva di successi auspicati al 75-80%, ora c’è quasi l’obbligo del successo al 100%. Ricordo che per gli atti medici rimane l’obbligo dei mezzi e che solo per i problemi di carattere estetico esiste l’obbligo del risultato. L’utilizzo della diga di gomma, dei nuovi disinfettanti, dei nuovi cementi, del microscopio operatorio, degli strumenti al nikel-titanio etc…, hanno elevato questa branca a livelli straordinari.
Il risultato, la conservazione della radice dentale, ha come caratteristica la possibilità d’utilizzo del pilastro per una protesi che può e deve durare nel tempo.
Vi porto un esempio, documentato da radiografie, che può essere rappresentativo e riassuntivo di quello che succede nella realtà. Il caso: paziente, femmina di 48 anni, attrice, che riferisce terapia endodontica circa 5 anni prima su 11 con relativa ricostruzione in composito; nel 2000, alla visita presso un nuovo sanitario si evidenziava la presenza di un’incompleta terapia endodontica e di una fistola asessuale vestibolare. Il sanitario eseguiva un ritrattamento che aveva esito positivo, con scomparsa della sintomatologia. Eseguiva una ricostruzione coronale con un perno moncone fuso ed una corona in ceramica. Dopo tre anni, la pz lamentava nuovamente un ascesso a carico dell’11 e si recava presso un altro sanitario a Milano, dove si trovava per lavoro. Eseguita una radiografia era diagnosticata la frattura radicolare a becco di flauto della radice con sfondamento del perno moncone. Era eseguita l’estrazione e in seguito la sostituzione con un impianto osteo-integrato, moncone e corona in ceramica. La pz ha richiesto i danni ed il rimborso delle nuove spese sostenute al sanitario intervenuto prima. Facendo una considerazione m-l si evidenzia che un dente trattato endodonticamente ha un valore residuo pari alla metà di quello sano, nel caso in oggetto di un incisivo centrale, le tabelle riconoscono 1 punto sull’invalidità permanente, quindi il valore residuo è pari a ½ punto. Il legale nell’atto di citazione richiede danni per oltre 40.000 euro, per le spese sostenute e per il danno biologico a causa della professione della pz. La causa è attualmente pendente presso il Tribunale di Roma. Lascio al lettore qualunque considerazione…
In altri casi il danno più frequentemente riscontrato è la frattura di strumenti all’interno del canale endodontico. Poiché è un’eventualità che solo parzialmente è prevedibile (usura dello strumentario, canali curvi, velocità eccessiva del micro/motore…) secondo me l’importate è avvisare il pz e tentare di rimuoverlo. Troppo spesso vengono sepolti dal cemento endodontico e ricoperti da un’otturazione frettolosa. Esistono tecniche che consentono la rimozione sicura con il microscopio operatorio e l’uso d’aghi ¾ tagliati in modo da agganciare il pezzetto ( cfr. Malentacca).
Il pz può casualmente, per una radiografia eseguita per un dente vicino, scoprire il frammento e se mal consigliato richiedere i danni anche se il dente è asintomatico. Spesso in sede peritale abbiamo riscontrato sia frammenti rotti sia canali incompleti o addirittura perforati, lasciati sotto corone e perni monconi.
La negligenza è sempre condannabile perché presuppone il dolo nel comportamento dell’operatore.
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