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  • Paolo Bortolini
    Paolo Bortolini

    Dentista, Yes You Can: Lavorare E Guadagnare Mentre Altri Chiudono

      Descrizione: Un'analisi Economica Della Situazione Autore/i: Paolo Bortolini

    © Paolo Bortolini, dottore in economia aziendale, giugno 2013

     

    Testo della prolusione del Relatore al secondo “Closed meeting” riservato ai già partecipanti alle edizioni dal 2006 al 2012 del: “Corso pratico di amministrazione e management per l’Odontoiatra”.

     

     

    Dentista, yes You can: lavorare e guadagnare mentre altri chiudono

     

    Parole chiave: domanda; pletora; PDR; ISTAT; perdenti; scontento; vincenti; profitto; innovazione; tariffe; amministrazione.

     

    Riassunto: la “crisi” non riguarda tutti i dentisti, colpisce i professionisti obsoleti, incompleti o con un atteggiamento utilitarista verso l’attività. I pazienti da loro “persi” stanno cercando nuovi dentisti, e questa migrazione sta portando più occasioni di lavoro in molti studi, quelli con i titolari che investono in aggiornamento e capaci di innovare le procedure operative e le modalità di relazione con la clientela. I dentisti in crescita hanno però di fronte gravi problemi di costi, monetari e non monetari, che non tutti sanno affrontare con successo. Per risolvere i problemi si deve partire da una esatta conoscenza della propria realtà professionale ed economica, per avere la quale il dentista si deve dedicare in modo personale, continuo e approfondito all’analisi dei processi operativi e all’amministrazione dell’attività. Il tempo che serve per queste operazioni, lo si può recuperare cominciando a “tagliare” prestazioni e pazienti che non portano guadagni né altro allo studio, che di solito sono più di quanto si possa immaginare.

     

    1. Lo scenario economico

     

    La “forza economica” dei dentisti risiede nell’irriducibilità della domanda di prestazioni da parte del pubblico: non rimarranno mai senza lavoro (e in un Paese con più di sessanta milioni di abitanti, l’Italia, c’è da attendersi che questo sia anche abbondante). Infatti, quando mancano i soldi il consumatore può decidere di rinunciare per sempre a certi beni, ad esempio l’automobile perché può spostarsi in altro modo. Può anche rinunciare a fare una causa o a pagare le tasse, lasciando senza incarichi avvocati e commercialisti. Può convivere con l’ipertensione o il diabete senza sapere di soffrirne, mancando così di rivolgersi al medico, oppure, se lo sa, decidere di autocurarsi. Non potrà mai però rinunciare alle cure del dentista, ma solo rinviarle nel tempo: prima o poi ci dovrà andare perché l’autoterapia non è praticabile. La sua decisione di accedere a cure dentistiche riguarderà quindi la scelta del “quando” e del “dove” (in quale studio), mai fra “cure si ̶ cure no”.

     

    Molti pensano che ci sono difficoltà perché “la gente è senza soldi” e “ci sono troppi dentisti” (la cosiddetta “Pletora”). E’ vero che la riduzione di potere di acquisto portata dalla crisi, aumenterà il numero delle persone con una sfasatura fra necessità terapeutiche e possibilità di spendere, ma per i dentisti queste situazioni non sono novità, perché hanno da sempre affrontato le richieste dei pazienti modulando le proposte e gestendo pagamenti dilazionati. E’ anche vero che non tutti sono “senza soldi” e che, in ogni caso, non si potrà risolvere questa situazione abbassando i prezzi senza prima sapere quanto costa realmente eseguire le prestazioni, perché qualora si lavorasse in perdita il fallimento sarebbe assicurato.

     

    Ritengo che si possa guardare alla “Pletora” in modo nuovo. I dati Istat fanno vedere che nelle Regioni dove ci sono più dentisti, è più alto il numero dei cittadini che accedono alle cure e più elevata è la loro spesa media a livello di nucleo familiare e quindi anche la complessiva. Il contrario accade invece nelle Regioni dove per ogni dentista c’è un più alto numero di residenti. La concentrazione di dentisti in una zona, a mio avviso, è il miglior sistema per diffondere di più l’Odontoiatria fra la popolazione, per aumentare l’accesso e la parte di reddito devoluta alle cure. Il motivo è facilmente comprensibile, ed è l’unico caso in cui si può parlare in senso proprio di marketing odontoiatrico, e precisamente in riferimento alla distribuzione del servizio (uno dei quattro elementi del marketing-mix). Un servizio si acquista di più quando è distribuito capillarmente. La gente si reca più facilmente dal dentista se lo trova sotto casa. Ho infine motivo di pensare, a seguito di numerose osservazioni che ho fatto negli anni, che una forte concorrenza fra dentisti spinge alcuni di loro a competere sulla qualità della cura e del rapporto, cosa che innalza il livello medio del servizio offerto in una certa zona, a beneficio della collettività.

     

    Il vero rischio per i dentisti di un Paese è la “fuga dei capitali”, cioè un massiccio ricorso della popolazione a professionisti di altre nazioni, magari agevolata dalla maggiore facilità di comunicare (Internet) e di spostarsi (voli low-cost). Rischio che appare più temuto che reale, dal momento che, tanto per esemplificare, i dentisti di Croazia, Romania, Slovenia e Ungheria, sommati dovrebbero essere circa 24000 (il condizionale è d’obbligo, dal momento che non ho trovato dati più aggiornati di questi, che sono del 2008, fonte CED-Council of European Dentists) e servono una popolazione complessiva di circa quarantasei milioni di abitanti. Hanno dunque un PDR (Population to Dentist Ratio) vicino a quello considerato ottimale dall’OMS, cioè 2000. Quale capacità produttiva libera potrà mai rimanere loro per curare, oltre ai connazionali, non solo gli Italiani ma anche i cittadini di quei paesi europei pure soggetti al fenomeno del “turismo odontoiatrico”? Inoltre, il differenziale sulle tariffe, al momento a loro favore, con ogni probabilità tenderà nel tempo ad essere meno pronunciato e il fenomeno già si coglie osservando su Internet i loro tariffari.

     

    A dispetto dell’ottimistica visione appena delineata, su vari mezzi di informazione italiani, da tempo e particolarmente nelle ultime settimane, si scrive di una tendenza ad un generalizzato “calo” di pubblico negli studi, e naturalmente dell’incasso. Personalmente ho dei dubbi sulla piena veridicità di queste notizie. Le cose, almeno fino al 2011, sono andate diversamente. La spesa delle famiglie per il dentista, secondo l’Istat, ha un andamento “altalenante”. Pubblico una tabella con la spesa mensile media per famiglia (quelle in cui almeno un membro ha sostenuto la spesa nel mese) e i totali annuali. Il livello della spesa totale risente del numero di famiglie che ricorre effettivamente alle cure (rectius che sostiene la spesa) e del livello dei prezzi praticati dai dentisti. Come spesa complessiva, il 2006 è stato l’anno più “basso” dal 2001 (molto più basso! E la “crisi” non era iniziata), seguito da un 2007 record. L’osservazione di questi dati rinforza l’idea, espressa prima, che i pazienti possono solo rinviare le cure, ma non rinunciare: in sintesi, a uno o più periodi “bassi” segue per forza un periodo “alto”.

     

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    2. Tipologie di “dentisti in crisi”

     

    Da queste premesse, unendovi le osservazioni di chi come me è “sul campo”, e in particolare del fatto che ci sono studi, e in base a mie osservazioni dirette nemmeno pochi, che vedono aumentare i loro clienti e gli incassi, si dovrebbe concludere che non è realistico parlare di crisi generalizzata, cioè per tutti i dentisti: solo una parte, in modo più o meno importante, è in crisi. Di questa parte, al fine di comprendere meglio le cause della situazione e le possibili reazioni, si possono, a mio modo di vedere, distinguere tre tipologie di “dentista in crisi”. Una, che chiamerò gli “Obsoleti”, è quella cui difetta la base per riuscire a sopravvivere in un ambiente socio-economico turbolento e ultra-competitivo come l’attuale: la capacità di apprendere continuamente cose nuove. Penso in particolare all’informatica e allo sviluppo della tecnologia. Questi dentisti dovrebbero trovare la forza di rimettersi a studiare, contrastando quello che si può definire analfabetismo di ritorno. Altrimenti, hanno pochissime o nulle speranze di riprendersi.

     

    Una seconda tipologia, che chiamerò gli “Incompleti”, è lacunosa nella gestione delle operazioni cliniche, o in quella organizzativa, relazionale o nell’amministrazione. Gli errori si pagano sempre cari quando c’è tanta concorrenza, e recuperarli costa grandi sforzi e molto tempo, cosa comunque fattibile se non si è troppo in là con gli anni.

     

    La terza tipologia, che chiamerò gli “Utilitaristi”, è quella che non ha sacrificato tempo e guadagni all’indispensabile aggiornamento clinico, tecnologico, strutturale, relazionale e amministrativo, preferendo devolvere quelle risorse a destinazioni private. Ha perciò via via perduto attrattività nei confronti del suo pubblico, per assenza di innovazione. Per rifarsi, dovrebbe investire intensivamente nei prossimi anni, purché abbia conservato sufficienti mezzi per questo scopo. Di quest’ultima categoria c’è una particolare variante, quella che non ha capito per tempo che l’epopea del “nero” è sepolta, e si ritrova ad avere un’attività che magari fa ancora vivere il suo titolare ma che non può, a causa della mancanza di fondi alla luce del sole, investire per il suo sviluppo. Inoltre potrebbe patire le conseguenze dell’aura di discredito che oggi pare circondi chi è “in odore” di evasione, oltre a quelle collegate ad eventuali, ma sempre più probabili, controlli fiscali.

     

    Le tre tipologie hanno qualcosa in comune: non si sono accorte per tempo dell’emergere dei cambiamenti nella professione, nella società e nella fiscalità. In sintesi, pagano la mancanza di una visione anticipatrice, che non è un dono del Cielo, ma il frutto del dedicare tempo ad osservare ciò che accade e a sviluppare compiuti pensieri, della voglia di mettersi in discussione e della continua applicazione nella ricerca di soluzioni.

     

    Parte degli studi di queste tre “tipologie” non ce la faranno a reggere le difficoltà dell’economia e, plausibilmente a medio termine, chiuderanno i battenti “liberando” pazienti per i colleghi (un dato, tutto da interpretare, sul quale iniziare a riflettere è la riduzione di oltre 4000 utenze di telefonia fissa dal novembre 2011 a maggio 2013, rilevabile dalle Pagine Gialle, categoria “Dentisti medici chirurghi”). Altra cosa in comune, potrebbe essere la disponibilità del tempo lasciato “vuoto” dal deflusso di pazienti: grande fortuna nei momenti difficili, perché può essere usato per aggiornarsi, pensare e sperimentare soluzioni.

     

    3. Quali studi stanno crescendo

     

    Intanto, da questi “dentisti in crisi” stanno, e non da oggi, defluendo pazienti che cercano un’offerta migliore. La prova che ci sia una non trascurabile quantità di pazienti che sta cercando nuove risposte, la si può trovare nel rapido successo di studi di recente apertura, anche organizzati in “reti”, che hanno sfruttato la liberalizzazione della pubblicità sanitaria per caratterizzarsi in senso molto commerciale, che chiamerò “Innovatori” (e in quanto tali, forse non ancora del tutto coscienti dei rischi connessi con queste nuove modalità di operare). Il fenomeno si vede meglio nelle grandi città: chi le vive o le visita avrà certamente notato dei negozi che sono diventati studi dentistici e tanta pubblicità il cui messaggio, nella maggior parte dei casi, è quello del prezzo basso e della “visita gratis” (a proposito, si sa che ci sono limitazioni fiscali alla deducibilità delle spese connesse con queste prestazioni gratuite?). Si può dire che queste nuove modalità di esercitare e comunicare la professione, accettabili o criticabili che siano, sono comunque riuscite a fare emergere una domanda latente che, evidentemente, aspirava a “trovare un altro dentista” (lo si potrebbe chiamare scontento odontoiatrico, a mio avviso un sentimento piuttosto diffuso), che si è manifestata in forze quando qualcuno gli ha spianato la strada, a colpi di marketing (rectius di pubblicità), per farla sedere sulla poltrona del “preventivo” (e magari del connesso finanziamento).

     

    Sta andando bene anche agli studi monoprofessionali e associati tradizionali più qualificati e organizzati, che sono tali perché i loro titolari hanno da tempo investito nell’aggiornamento culturale, tecnologico, strutturale e amministrativo (li chiamerò per questo gli “Investitori”). L’impegno di questi professionisti si è tradotto in maggiore autorevolezza e credibilità nel proporre prestazioni nel modo, nel tempo e al prezzo giusto, e in un’operatività a basso tasso di errori. Sono per questo riusciti a costruire fiducia e buona reputazione, con le quali si è attivato un “passa-parola” efficace e capace di selezionare la clientela migliore, facendo leva sul bisogno del pubblico di migliori risposte da parte degli Odontoiatri, lo scontento, sopra evidenziato. Questo ovviamente a scapito degli studi “perdenti”.

     

    4. I problemi da affrontare

     

    Il primo è forse quello più percepito, e a quanto vedo nei dati dei miei clienti particolarmente negli studi di più grande dimensione: un margine di profitto dell’attività che, quando lasciato a se stesso, tende ad appiattirsi sullo zero. Il problema ha cause oggettive, identificabili nei costi estremi, fra cui la tassazione, che oggi caratterizzano sia l’attività del dentista, molto complessa e di grande responsabilità, sia, come per tutti, la sua vita privata. Non sempre i dentisti riescono a “scaricare” completamente sui prezzi delle loro prestazioni questi costi, e da qui la proliferazione di prestazioni a margine nullo o negativo che si rilevano in quasi tutti gli studi. Il guaio è: se manca profitto da poter reinvestire nell’attività, l’organizzazione si deteriora, l’aggiornamento rallenta, la tecnologia non si può rinnovare, il titolare si indebita. In sintesi la crescita si ferma e l’attività si contrae in una spirale senza fine, fino a rischiare di entrare nel novero dei “perdenti”. Se, d’altro canto, mancano i mezzi per sostenere il tenore di vita che si desidera, si creano conseguenze che possono portare ad esiti simili per altre vie. Forse, è proprio la ricerca di un giusto equilibrio fra queste due esigenze, cioè conciliare la destinazione delle risorse disponibili fra l’attività e il “privato”, la scelta gestionale più difficile. Il problema dei costi eccessivi dunque è grosso, ma è quello che, per fortuna, si può affrontare con più mezzi e soprattutto con buone probabilità di risolvere. E su questo tornerò oltre.

     

    Ci sono invece altri problemi, di ben più complessa e incerta gestione, capaci, a mio avviso, di fare anche più danni del basso guadagno. Uno è la difficile relazione con una parte del pubblico, in tendenziale crescita, nevrotica ed emotivamente insondabile, con il conseguente emergere di danni potenziali astrattamente infiniti (il paziente stalker), per i quali non esiste assicurazione capace di rispondere. L’altro, l’inaffidabilità di un “fattore umano”, collaboratori e dipendenti, in troppi casi più interessato a sapere come passerà la serata che a contribuire con energia e creatività al miglior andamento delle operazioni di studio. Fenomeno che, in un’attività labour intensive e a bassa produttività com’è lo studio dentistico, costituisce un freno alla crescita, se non un muro invalicabile, ed è causa di inefficienza economica cioè ancora più costi.

     

    5. Trovare soluzioni

     

    Gli ultimi due problemi descritti sono pressoché irrisolvibili in modo diretto da parte del professionista, conviene perciò lavorare sul primo, il basso o nullo profitto. Qualora si ottenga un giusto guadagno, che a mio avviso non dovrebbe mai scendere sotto il 50-60% del ricavo (la somma dei prezzi delle prestazioni eseguite), non solo si remunerano tutti i costi, che vanno considerati inclusivi di uno stipendio per il titolare, della sua contribuzione e tassazione, ma si creano riserve di utile, che si trasformano sempre in capacità di investire senza remore e in maggiore sicurezza nei comportamenti. Dunque più competitività, e arrivano i pazienti, e più scioltezza nel chiedere le giuste parcelle, e si fanno i guadagni. Avendo profitto, ci si potrà anche permettere di dedicare risorse per intercettare il paziente rischioso (e anche quello che non paga), evitando di iniziare la relazione, e di licenziare il collaboratore, o magari il socio, fannullone, distruttore o semplicemente antipatico.

     

    Come fare? Certamente, chi non rimarrà attivo nella ricerca di soluzioni andrà fuorigioco. E’ invece del tutto plausibile pensare che le “mosse” efficaci possano prendere forma a seguito di un investimento di tempo, purché non episodico, nell’analisi dei processi operativi. In primo luogo quelli che riguardano l’avviamento e la manutenzione del rapporto con un paziente, analisi da farsi alla luce di un onesto giudizio sui propri punti di forza e di debolezza professionali, su ciò che si sa e si vuole fare e su ciò che invece non si sa. Lo scopo è arrivare a produrre solo prestazioni eccellenti, cioè pianificate e “sotto controllo” in tutte le loro fasi. Altro tempo va dedicato al controllo economico continuo, nelle sue parti monetarie, economiche e fiscali, dotandosi di strumenti informatici adatti, valida formazione e consulenza di prim’ordine: la “sprovvedutezza” in questo aspetto garantirà la dispersione dei propri sforzi e l’atterraggio nel campo dei “perdenti”. Questo miglioramento amministrativo, infine, sarà anche un valido “scudo” nelle eventuali attività ispettive degli organi tributari.

     

    Da questo investimento di tempo scaturirà una nuova consapevolezza: delle proprie capacità, delle esigenze formative e tecnologiche su cui spendere, del proprio valore. E, prevedibilmente, dei propri limiti: si dovrebbe evitare di assumere incarichi che non si è certi di saper portare a termine con pieno successo, come non si dovrebbe accettare di lavorare quando una perdita si profila all’orizzonte. L’esito di questo percorso, che non è detto debba essere lungo e nemmeno tanto difficile, dovrebbe produrre come minimo due utili risultati: uno è la maggior sicurezza nel sostenere tariffe adeguate all’odontoiatria evoluta che si tende generalmente oggi a praticare (le basse tariffe, infatti, si sposano con un’Odontoiatria di livello più modesto, ma per rendere, oggi come un tempo, si dovrebbero anche accompagnare a un bassissimo livello di costi fissi e tassazione, condizioni ora introvabili). L’altro è la più facile produzione di valide idee per innovare costantemente il proprio agire, cosa indispensabile perché mai come ora chi si ferma è perduto.

     

    6. Trovare il tempo per risolvere i problemi

     

    Per molti dentisti, il problema è proprio trovare questo tempo, si è spesso convinti che convenga fare più prestazioni che si può, piuttosto che progettare e pianificare. L’esperienza di otto anni del “Corso pratico”, concretizzata nei dati che i partecipanti raccolgono ed elaborano con i software ricevuti, ha evidenziato in molti casi che la maggior parte delle prestazioni eseguite in uno studio pluribranca rende poco o nulla, che tantissime di queste fanno perdere e “rubano” margine alle prestazioni più redditizie, che il profitto annuale è dato dal 20% circa dei pazienti, che se il titolare non ficca il naso tutti i giorni nei conti delle entrate e delle uscite, e sapendo bene come fare, perde i soldi o glieli portano via, che se non si pianifica tutti i giorni la fiscalità tanto denaro viene speso in tasse anziché per la crescita e il futuro. Studi con queste caratteristiche, producono inevitabilmente, oltre al titolare, pazienti scontenti a causa di rapporti frettolosi perché bisogna correre, e magari si perdono informazioni preziose per la cura e per il denaro, di cattiva relazione perché sentendo di dare più di quello che si riceve non ci si concede del tutto, e il cliente si secca, di prestazioni povere perché si deve risparmiare, e il paziente è insoddisfatto (s’arrabbia, ma è difficile che ve lo dica). Se non si spezza la catena dello scontento, prima o poi si precipita fra i “perdenti”, magari accorgendosene quando è tardi.

     

    Per trovare questo tempo dunque, servono informazioni precise che consentano di scoprire quella parte del lavoro che crea perdite, rappresentata da quei pazienti i quali, oltre al danno economico, non portano null’altro allo studio, e dalle prestazioni in perdita sistematica, rilevabili in quasi tutti gli studi. I primi vanno eliminati, e possibilmente in via preventiva, alle seconde vanno subito aumentati i prezzi. Questa attività di selezione, unita al continuo e preciso controllo sui flussi finanziari e ad una efficace pianificazione del risparmio fiscale, possibile in gran parte degli studi, consentirà immediatamente di guadagnare di più e lavorare meglio e, nel medio periodo, di aumentare la competitività rispetto ai colleghi e la credibilità verso i pazienti, e con quest’ultima sarà sempre più facile sostenere prezzi remunerativi per le prestazioni e farseli pagare.

     

    Mi auguro di aver dato, con questa lunga prolusione, la reale portata della proposta che in otto anni di lavoro si è concretizzata nelle sette edizioni del “Corso pratico di amministrazione e management” e nei suoi unici strumenti software. Ringrazio per la vostra fiducia, per il vostro impegno e per l’attenzione.

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