Di Paolo Bortolini *
In questa quarta puntata della serie sul “costo orario” nello studio dentistico, si userà quanto costruito nelle precedenti per mostrare in pratica i calcoli di base del “nostro”.
Riassunto delle puntate precedenti
Nella prima puntata si sono messi in guardia i lettori verso la diffusa approssimazione che caratterizza scritti che circolano su Internet, di solito opera di persone che non sono esperti contabili. E’ stato ripetutamente affermato che con “costo orario” (CO) va intesa una tecnica contabile per ripartire in modo equo alcuni particolari, e importanti, costi dello studio sulle singole prestazioni già eseguite, trattandosi quindi di una misurazione consuntiva e precisa. Poi, cosa da tenere sempre bene in mente, è stato mostrato che avere un “costo orario” alto o basso non fa differenza sul piano del risultato economico complessivo dell’attività; quindi, idee che inducono a ritenere che se faccio una prestazione in meno tempo “risparmio” qualcosa, sono da ritenersi puri parti della fantasia. Nella formulazione generale per il calcolo, si è poi detto che null’altro che i costi e il tempo deve entrare, a nulla rilevando oggetti e soggetti quali le poltrone o gli operatori. Anzi, vedendo alcune formulazioni di altri autori (peraltro si ripete non esperti contabili) proposte in rete, posso dire che seguendo quei consigli ci si troverà a sottostimare l’incidenza dei costi del tempo sul costo delle prestazioni, dunque in situazione di grave rischio per quanto riguarda la tenuta dei propri conti.
In questa puntata si mostrerà come si calcola il “costo orario” e come si può arrivare, ma con razionalità, ad una sua valutazione preventiva per formulare delle ipotesi del prezzo da chiedere per le prestazioni da eseguire in futuro.
Il “costo orario” è un valore sempre e solo collegato al tempo
Una volta individuati quelli che nella terza puntata sono stati chiamati i “costi di tempo” (chè il “costo orario” non è un calderone dove entra anche quello che si spende per la baby sitter dei figli), tali costi si devono, guarda caso, ancorare al tempo.
Un primo esempio si può fare ipotizzando che lo studio sia stato in grado di sapere quanti sono i suoi costi di tempo di un certo periodo, cosa più facile disponendo di una contabilità organizzata “per competenza” oltre a quella “per cassa”.
Appunto per esemplificare diciamo che in un certo mese tali costi siano 10.000 €.. Il calcolo del CO è immediato: note le ore che sono state dedicate dai vari operatori clinici alle prestazioni eseguite nel mese, che fissiamo a 200 h., 10.000 €. diviso 200 h. da 50 €.. Questo è il costo orario, cioè la quota dei “costi di tempo” che è stata assorbita da ogni singola ora effettivamente lavorata. Non servono altri sforzi.
Per chi proprio non ci crede alla questione che le poltrone è meglio lasciarle ferme dove stanno, cioè a fare niente se qualcuno non le utilizza per produrre prestazioni, mostrerò cosa si ottiene applicando una delle varie “teorie” che si leggono in rete.
Poniamo che poltrone siano due e che lo studio sia aperto 8 ore al giorno per venti giorni al mese (totale ore di apertura = 160 h.). Secondo alcuni autori, il CO si calcola dividendo i costi rilevanti per le ore di apertura e poi per il numero di poltrone. Nel nostro esempio, si tratterebbe di: 10.000 €./160 h. = 62,50 €.; 62,50 €./2 poltr. = 31,25 €.. Secondo questa teoria, anziché essere 50 €., il CO sarebbe 31,25 €.. Qui si capisce subito, rispetto al calcolo corretto come l’ho mostrato, che quando si usa il CO per ripartire i costi di tempo in modo equo fra le prestazioni già eseguite, ma anche se lo si usa per fare il prezzo di una prestazione ancora da eseguire, con quest’ultimo “metodo” si otterrà un costo della prestazione sottostimato, distorto. Potendo dunque avere notevoli danni da abbaglio.
Va capito che, dal punto di vista dell’analisi economica, le poltrone sono oggetti inerti, non producono ricavi, perché questi li producono solo gli operatori clinici, perciò il tempo che conta è solo quello dell’operatore (e degli operatori se sono più di uno). Un clinico può produrre ricavo senza aver bisogno della poltrona, ma solo del suo tempo: una visita ad un paziente la si può fare anche alla scrivania, e per questo chiedere un compenso. A nulla poi valgono dei “correttivi”, quali la stima di esoterici “indici di saturazione” delle poltrone o degli operatori, per correggere la distorsione che un sistema come quello basato sulla ripartizione sulle ore di apertura e sulle poltrone, anziché solo sulle ore effettivamente lavorate, comporta. Sono complicazioni che provocano inutili mal di testa e perdite di tempo. Lo scrive un ragioniere che ragiona e pubblica sul punto da “soli” 34 anni!
Sulle poltrone si possono casomai calcolare altri interessanti indici, ma non il CO. E si tratta di indici di comparazione: fra diversi studi, per lo stesso studio osservato in momenti temporali diversi. Ad esempio, il totale del valore dei beni strumentali diviso il numero di poltrone è un buon indice, chiamato “Investimento fisso medio per poltrona”.
Si veda il seguente esempio conclusivo con i costi orari calcolati con i CO ottenuti dai due sistemi illustrati negli esempi (il giusto è 50 €. eh!):
La sottostima del costo orario causata dall’applicazione del metodo erroneo, fa credere di guadagnare di più del reale. La cosa può essere gratificante dal punto di vista psicologico, ma è un’evidente illusione e foriera di errori.
Il “costo orario” per fare i preventivi
C’è un solo e unico metodo razionale per stimare il CO da considerare per le prestazioni ancora da eseguire, questo:
a) in primo luogo, stimare quanti costi di tempo sono ancora da sostenere da oggi a fine anno; diciamo per semplicità altri 10.000 €.
b) poi, stimare la quantità di ore di produzione di tutti gli operatori clinici che ci si può ragionevolmente (e magari prudenzialmente) attendere da oggi a fine anno, diciamo per semplicità 150 h.;
c) dividere i costi di tempo ancora da sostenere per le ore di produzione previste del punto b), 10.000 €./150 h. = 67 €.. Questo sarà il CO da considerare quando si costruisce un prezzo preventivo o si lavora sul tariffario.
Una più elegante modalità di applicazione del metodo di stima che ho appena illustrato, risolvendo un’equazione, è questa:
- ammettendo che il CO di 50 €. che ho calcolato “a consuntivo” si conformasse bene al livello di prezzi che lo studio è in grado di praticare, diciamo che lo studio ci si rispecchiasse bene in quel CO;
- una semplice equazione di primo grado: 10.000 €./X = 50 €., mi dirà che da qui a fine anno per avere un CO uguale a quello che ho avuto finora, dovremo, titolare e collaboratori clinici, lavorare almeno per 10.000/50 = 200 ore. Il punto allora sarà: saremo in grado di schedulare (mettere in agenda) 200 ore dei clinici? Aprendo così la porta a tutta una serie di domande e risposte, profondamente innestate in quella che chiamiamo la gestione dello studio dentistico! Buon lavoro!
* dottore commercialista, consulente e formatore per la gestione delle attività in odontoiatria. Tel. 0498962688. Clicca per le consulenze. Clicca per i miei corsi.
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